Ordinanza n. 289/2000
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ORDINANZA N. 289

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Cesare MIRABELLI, Presidente

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO 

- Dott. Riccardo CHIEPPA 

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY 

- Prof. Valerio ONIDA 

- Prof. Carlo MEZZANOTTE 

- Avv. Fernanda CONTRI 

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI 

- Dott. Franco BILE 

- Prof. Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 236, comma 2, delle norme di coordinamento del codice di procedura penale, approvate con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e degli artt. 30-bis, quarto comma, e 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1999 dal Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta sul reclamo proposto da Gioacchino Contino, iscritta al numero 259 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta, investito della decisione sul reclamo proposto da un detenuto in espiazione di pena contro il rigetto di un’istanza di permesso premio, con ordinanza emessa il 10 marzo 1999 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 236, comma 2, delle norme di coordinamento del codice di procedura penale, approvate con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, 30-bis, quarto comma, e 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà);

che l’art. 236 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale prevede che nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad osservarsi le disposizioni processuali della legge n. 354 del 1975, le quali disciplinano il procedimento di reclamo al tribunale di sorveglianza (art. 30-bis, quarto comma, da applicare ai permessi premio per il richiamo espresso dell’art. 30-ter, comma 7), stabilendo che il giudice competente provvede, assunte, se del caso, sommarie informazioni, entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo;

che queste disposizioni sono denunciate nella parte in cui, nel fissare il termine di dieci giorni dalla ricezione del reclamo per provvedere in ordine alla impugnazione dell’interessato in materia di permessi premio, non consentirebbero di applicare gli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale, i quali, per il procedimento di esecuzione, prevedono che sia dato avviso all’interessato ed al suo difensore dell’udienza in camera di consiglio, con un termine per comparire;

che, secondo il giudice rimettente, le disposizioni impugnate violerebbero: a) l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevole disparità di trattamento del detenuto che abbia proposto reclamo in materia di permessi premio rispetto a quello che sia parte negli altri procedimenti di sorveglianza, per i quali varrebbero, invece, le garanzie proprie della giurisdizione, assicurate, appunto, dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.; b) l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, perché il procedimento di decisione del reclamo non consentirebbe di dare comunicazione dell’udienza all’interessato ed al suo difensore, così ledendo il diritto alla difesa ed il contraddittorio, in un procedimento al quale dovrebbe sempre partecipare, ad avviso del giudice rimettente, il solo pubblico ministero; c) l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la mancanza di garanzie proprie della giurisdizione nel procedimento di decisione del reclamo si porrebbe in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena;

che il giudice rimettente ricorda che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 236, comma 2, delle norme di coordinamento del codice di procedura penale, 14-ter, primo, secondo e terzo comma, e 30-bis della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non consentivano l’applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso premio (sentenza n. 53 del 1993); lo stesso giudice ritiene che analoghe ragioni debbano portare, attraverso una pronuncia di incostituzionalità, all’applicazione della medesima disciplina anche al procedimento di reclamo in materia di permessi premio;

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Considerato che il giudice rimettente denuncia la irragionevole diversità di trattamento in analoghe procedure di sorveglianza e la carenza di garanzie giurisdizionali, in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena, nella procedura di reclamo in materia di permessi premio, di cui è investito: a suo giudizio, l’art. 30-bis dell’ordinamento penitenziario, prefigurando un procedimento al di fuori di ogni formalità processuale e di ogni contraddittorio, non consentirebbe né di dare avviso all’interessato e al suo difensore dell’udienza in camera di consiglio né di disporre un’apposita udienza di trattazione;

che, nella formulazione della questione, gli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., i quali invece prevedono l’avviso al condannato e al suo difensore della fissazione della data dell’udienza in camera di consiglio e il termine per comparire, sono richiamati come termine di raffronto, per argomentare l’incostituzionalità del procedimento delineato dall’art. 30-bis dell’ordinamento penitenziario, e come elemento normativo idoneo a colmare, attraverso la estensione della disciplina da essi dettata, l’anzidetta carenza;

che, nel sollevare la questione, il giudice rimettente non tiene conto del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il reclamo proposto dal detenuto in materia di permessi premio davanti al tribunale di sorveglianza deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, con le forme stabilite dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.;

che, pertanto, è possibile una lettura della norma denunciata diversa da quella fatta propria dal rimettente e che consente l’applicazione di regole, desunte dal sistema, le quali assicurano, in una delle forme possibili, il diritto di difesa ed il contraddittorio (confronta ordinanza n. 45 del 1999);

che, quindi, muovendo l’ordinanza di rimessione da un erroneo presupposto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 236, comma 2, delle norme di coordinamento del codice di procedura penale, approvate con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, 30-bis, quarto comma, e 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria il 14 luglio 2000.